PD & Shareware

Sono stati due i vincoli che hanno frenato, agli albori dell’era dei microcomputer, lo sviluppo del settore. Il primo era dovuto all’alto costo dell’hardware, che rendeva ogni acquisto impegnativo. il secondo era sicuramente legato alla scarsa disponibilità di software. Le case produttrici – software house – erano poche, e con una offerta mirata principalmente ad utilizzatori professionali, per cui il software era un investimento. Per un uso hobbistico o personale, i costi erano difficilmente praticabili: il prezzo del WordStar del 1980, attualizzato, sarebbe oggi di oltre 1100€. Un sistema completo costava in quegli anni come una automobile.

C’è da dire che agli inizi gli acquirenti dei microcomputer erano soliti scriversi i programmi che usavano, ed era tutt’altro che raro che li mettessero liberamente a disposizione di altri appassionati. Questo software, che oggi chiameremmo freeware, all’epoca veniva definito Public Domain (PD). Il termine è un po’ fuorviante, e deriva dal fatto che prima del 1988, sia negli USA che in UK non esistevano leggi che riconoscessero il diritto d’autore in via automatica, per cui si riteneva che fosse sufficiente non richiamare esplicitamente un copyright sul software perchè questo fosse assoggettato alle regole che si applicano quando questi diritti sono scaduti.
Al di là degli aspetti normativi, l’intenzione degli autori era però chiara, ed al giorno d’oggi tutti quei programmi ricadrebbero in una delle varie licenze Creative Comnons. C’è anche da dire che, indipendentemente dal termine, non erano pochi i programmi PD dell’epoca che avevano un copyright esplicito che, pur lasciando libertà di uso agli utenti finali, si riservava altri diritti, come ad esempio quello di sfruttamento commerciale.

Larga parte di questi programmi nasceva in ambito hobbistico o universitario. Agli inizi la diffusione di questa tipologia di programmi era molto limitata, geograficamente ristretta e basata in larga parte scambio personale. Una cosa del tutto normale, considerando che la mancanza di finalità di lucro, implicava anche l’assenza di un qualsiasi tipo di struttura di distribuzione. Questa era limitata alla circolazione nei campus universitari e, al di fuori di essi, era spesso un dei servizi offerti delle varie associazioni di utenti, i cosiddetti user group, che frequentemente raccoglievano software PD e lo distribuivano agli associati.

Man mano che la diffusione cresceva, i microcomputer cominciarono ad attrarre anche chi non aveva le competenze indispensabili per potersi scrivere i programmi in casa, creando quindi una domanda di software già pronto. Sotto la spinta di questa domanda nacquero in varie parti del mondo delle librerie di software. Queste operavano come una sorta di centri di raccolta, catalogavano il software liberamente disponibile, mantenevano un elenco dei programmi disponibili, ed offrivano un servizio di duplicazione e spedizione a domicilio. Non vendevano, quindi, il software, ma il lavoro del servizio di duplicazione e spedizione, con costi del tutto accessibili.

Agli inizi degli anni ’80 vi erano varie realtà presenti ed attive. Io utilizzavo la PD Sofware Library di Crowborough, nel Sussex, UK. Per ricevere il catalogo dei floppy disponibili bisognava inviare loro un SASE (Self Addressed Stamped Envelope), cioè una busta contenente un’altra busta pre-indirizzata e del francobollo per la risposta. Per i paesi esteri, come il Regno Unito, al posto del francobollo si allegava un IRC (International Reply Coupon), un buono venduto dalle Poste Italiane che poteva essere usato dal corrispondente per acquistare una affrancatura per l’estero. Fra andata e ritorno passavano non meno di due o tre settimane: un sistema che oggi sembra estremamente complicato per recuperare forse giusto un paio di kByte di testo, ma all’epoca era quello che passava il convento.

Il software di Fido Potenza, così come il primissimo contenuto delle sue aree file, proveniva dal loro.

Le librerie di Public Domain Software diventarono quindi in breve tempo uno dei primi canali specializzati per distribuzione di software non commerciale. E con la disponibilità di un sistema di distribuzione a costo zero, a più di qualcuno venne l’idea di utilizzarlo per provare a guadagnare qualcosa dalla propria attività di programmazione. L’idea era oggettivamente semplice: tu prova il programma, e se ti piace me lo paghi. Il primo programma per cui fu utilizzato questo schema di vendita è stato, per quanto mi risulta, Pc-Talk, un software di comunicazione scritto da Andrew Fluegelman nel 1982. Era distribuito gratuitamente, ma con la richiesta di un pagamento di 25$ qualora fosse stato di gradimento dell’utente. Fluegelman lo definiva ‘software supportato dagli utenti”. Qualche mese dopo un altro autore, Bob Wallace, scelse la stessa strada per il suo word processor PC-Write, ma per la prima volta lo chiamò Shareware, il termine che è stato poi universalmente usato per questo schema di distribuzione. Wallace, peraltro, fu anche il primo ad offrire un incentivo alla registrazione a pagamento. Nel suo caso era di natura economica, in seguito sarebbe diventato più frequentemente lo sblocco di funzionalità aggiuntive.

La logica dello Shareware era esattamente l’opposta della canale commerciale. Se da una parte si diceva con forza ‘copiare questi dischi è pirateria’, l’altra incoraggiava apertamente la copia occasionale, come la chiameremmo oggi, che costituiva il suo canale di distribuzione. Era un modello nuovo ed interessante di business, senza intermediari, e che non necessitava di investimenti significativi. Il mercato era in crescita continua, e la richiesta di software era molto forte. Gli spazi di espansione erano amplissimi, e del tutto inesplorati. Il canale di distribuzione era sostanzialmente a costo zero. Furono quindi in tantissime le piccole software house che nacquero per intraprendere questa allettante strada, andando ad irrobustire sensibilmente l’offerta di software, un po’ in tutti gli ambiti.

In questo scenario si inserirono, nella prima metà degli anni ’80, gli innovativi servizi telematici – peraltro spesso del tutto gratuiti – dei BBS, che con la loro immediatezza resero velocemente obsolete le Software Library. Il nascente mondo dei BBS costituiva infatti un canale ideale per la diffusione di questa tipologia di software. Nei BBS era prassi comune imporre di mantenere un bilanciamento fra download ed upload, normalmente con schemi premianti che consentivano all’utente di scaricare n volte la quantità di byte caricati. La maniera più facile per ottenere crediti di download era quella di caricare qualcosa precedentemente scaricato da un altro BBS. Alla fine era qualcosa di cui beneficiavano tutti gli utenti. Fido Potenza, ad esempio, partì con il solo software che avevo acquisito nel tempo dalla PD Software Library, ma nel giro di pochi mesi, a dispetto del limite iniziale del 300 baud, le aree file crebbero a tal punto che dovetti sostituire il disco fisso con uno più capiente (ben 60 Mbyte[!] di un Miniscribe 5.25″ full height che rumoreggiava come un trattore).

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